Giulia Moiraghi (Ph.D. in Filosofia) è una ricercatrice indipendente e pratica Yoga da quasi 20 anni. Dopo la laurea con lode in Estetica contemporanea (Università degli studi di Milano) ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia all'Università di Verona. È autrice di In cammino verso la cosa. Heidegger dall’estetica all’ontologia, Mimesis, Milano 2006, e ha scritto diversi saggi su argomenti filosofici. È insegnante di yoga, membro Y.A.N.I. (Associazione Nazionale Insegnanti di Yoga) e insegna yoga e meditazione in Trentino, dove ha creato "Fenomeno Yoga" nel 2013 al fine di creare un ponte di dialogo tra le pratiche contemplative orientali e la ricerca fenomenologica occidentale: la pratica di posture, tecniche di respirazione e meditazione viene infatti elaborata fenomenologicamente. Nel 2017 ha pubblicato con il Corriere della Sera: Cura e Ardore. Il rigore e la passione della pratica yoga, RCS, Milano (ristampato nel 2021). Collabora come docente di filosofia nel Master "Neuroscienze, mindfulness e pratiche contemplative" e nella Summer-School "Consciousness and Cognition" dell’Università degli studi di Pisa.
Se invece volete sapere come è andata veramente, ecco qui un’altra versione un po’ più informale!
Tutto è cominciato al tempo dell’Università, quando, con la tesi di laurea, successivamente divenuta un libro, ho iniziato ad appassionarmi alla dimenticata dimensione dell’Essere che Martin Heidegger intuiva fosse ancora presente nell’oggetto artistico, e che invece non faceva più parte in alcun modo della vita quotidiana. Com’era possibile che gli antichi greci avessero la possibilità di rapportarsi al mondo, senza svuotare le cose della loro “pienezza d’essere”, mentre oggi tendiamo a trasformare ogni cosa in uno sterile strumento, svuotato di vita? Cosa era successo nel frattempo? Bisognava indagare oltre. La mia sete di conoscenza cresceva e avevo intuito che un altro filosofo avrebbe potuto aiutarmi a rispondere a queste domande. Così decisi di continuare la strada della filosofia con un dottorato di ricerca, nel quale avrei indagato l’origine di questo processo grazie alle analisi di Friedrich Nietzsche. Ed eccomi catapultata indietro ai tempi di Platone, quando veniva sancita la separazione fra il mondo delle idee puro e virtuoso e quello fisico e corporeo, progressivamente destituito di valore. Nietzsche mi aveva convinta, bisognava ribaltare il platonismo e riabilitare il mondo sensibile, fenomenico. Bisognava tornare al corpo, alla vita vissuta, ne ero sicura. Avevo cominciato persino a sentirlo sulla mia pelle. La mia salute negli ultimi tempi stava deteriorandosi e dopo un anno di dolori alla pancia, i medici scoprirono che ero diventata celiaca. Non avrei mai più potuto mangiare le adorate brioche al mattino e mille altre cose buone. Ahimè, come avrei fatto? Queste erano le tribolazioni che mi tormentavano in quegli anni. E più mi inoltravo nella filosofia, sviscerando i temi che mi erano cari, scrivendo articoli e saggi, più mi accorgevo che il mio corpo non gradiva questo eccesso di ruminazione mentale e anche la vista stava andando a farsi benedire, con una perdita galoppante di diottrie…. Ore e ore seduta alla scrivania, curva e raggomitolata sui libri e sul computer, avevano inoltre completamento alterato il ritmo della mia respirazione, con il risultato di bloccarla. Bisognava dare una svolta a questa vita, non potevo andare avanti così. Il primo grande cambiamento che ho apportato è stato quello, una volta concluso il dottorato, di provare ad affacciarmi al di fuori dell’ambito accademico e di incominciare a lavorare in un Museo di Arte Contemporanea. Sono diventata anche la curatrice di un artista giapponese la cui arte mi riportava alla forza e alla pienezza del sole. In fondo avevo discusso due tesi in Estetica e in entrambe avevo dichiarato che l’arte poteva rappresentare uno degli ultimi appigli che ci rimangono per riagganciarci alla dimensione sensibile. La scelta però veramente responsabile del cambio di vita che mi attendeva è stata la piccola, modesta decisione di riprendere la pratica dello Yoga. In verità la fascinazione per questa pratica non era scattata recentemente, era nata al tempo dei lunghi soggiorni trascorsi in India con i miei genitori, quando ancora ero poco più che una bambina. In effetti ci avevano pensato quei giramondo dei miei a farmi conoscere la magia dell’India, la sua cultura e la sua sacralità. Da piccola ne vidi un po’ di tutti i colori, e fra le tante esperienze, ebbi anche l’occasione di incontrare la pratica dello yoga. Mio padre fu un assiduo praticante per molti anni e fu con lui, quasi per gioco, che incominciai ad avvicinarmi a questa disciplina. Dopo un’infanzia abbastanza movimentata, fui successivamente felice invece quando ebbi l’occasione di intraprendere un corso di studi e soprattutto una vita, finalmente regolare, in Italia! È stata forse questa mia necessità di normalizzarmi ad indirizzare ai tempi la mia scelta sulla filosofia occidentale, piuttosto che su quella orientale. Avevo bisogno non solo di riappropriarmi delle mie radici, ma anche di sviscerarle profondamente e, proprio per questa ragione, nonostante l’interesse per il mondo orientale non mancasse, la pratica dello yoga negli anni dello studio matto e disperato, sarebbe diventata meno continuativa e, per lunghi periodi di fatto quasi assente. Come spesso accade nella filosofia, avevo bisogno di fare un passo indietro, per farne uno avanti, avevo bisogno di sentire sulla mia pelle l’esigenza di iniziare una ricerca sul corpo. Non potevo più limitarmi alle dichiarazioni d’intenti, tipiche di molti fenomenologi contemporanei. Parlare del corpo andava bene. Io ne avevo scritto diffusamente in svariati articoli. Ma non bastava semplicemente parlarne o teorizzarlo. Tutto ciò rappresentava un ottimo punto di partenza, ma non era trasformativo. Non era sufficiente. Bisognava farne esperienza, veramente. Dovevo provare o almeno incominciare a trasformare la mia mente analitica e logocentrica in una mente incarnata, incorporata. Sapevo che tutto ciò avrebbe rappresentato più che una semplice adesione filosofica, ma avrebbe preso i contorni del compito di una vita, perché sarei uscita dal campo della mera conoscenza e mi sarei dovuta allenare ad intravedere quello assai più vasto e comprensivo chiamato “saggezza”. La posta in gioco era veramente alta, ma non c’era soluzione, quella era l’unica scelta. Oltre ad essere stato il mio corpo a portarmi in questa direzione, era stata la filosofia a condurmi fino a lì. Era stata la fenomenologia a riportarmi al "Fenomeno Yoga". Mi dissi quindi: yoga sia! Mi rituffai con tutta me stessa in questa pratica: non mi perdevo una lezione ai corsi che frequentavo e a casa coglievo ogni momento disponibile per dedicarmi ad approfondire, rispolverare, gustare la gioia di un corpo che torna a svegliarsi. Negli anni ho poi iniziato a insegnare e, un po’ per caso, mi sono trovata ad incominciare un corso di formazione triennale ufficiale per insegnanti di Yoga presso un’accademia tedesca guidata da un allievo di Visnu Devananda. Sebbene all’inizio non avessi idea di diventare insegnante di yoga a tempo pieno e avessi incominciato l’accademia più nelle vesti di interprete che in quelle di allieva, dopo tre anni e migliaia di ore di pratica, mi sono infine ritrovata con un diploma in mano, anche se non ritengo che siano i diplomi a determinare le capacità di insegnare una materia così particolare come lo yoga. Quello che è successo dopo è storia recente: da anni mi dedico con immensa passione alla trasmissione di queste pratiche e mi ritengo onorata di poterlo fare. Mi rendo conto che raccontato così, questo può suonare come l’epilogo di una bella favola, e invece no! Questa storia è appena agli inizi, c’è un sacco di strada da fare e sono felice di condividere la via con tutti coloro che hanno voglia di incamminarsi con me!
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