Ci si potrebbe chiedere perché, fra tutte le vie dello yoga, si sia scelto di partire proprio dall’hatha yoga, ossia dallo yoga che lavora con il corpo. La ragione è che noi occidentali, in particolare, abbiamo perso il rapporto con il nostro corpo già da molti secoli, per non dire millenni. La svalutazione della dimensione corporea e carnale a favore della dimensione mentale e intellettuale si stabilì già alcuni secoli prima di Cristo, quando Platone scoprì due mondi: il mondo delle idee, dove stanno gli archetipi ideali di qualsiasi cosa o concetto, e il mondo sensibile, dove stanno le copie corporee e imperfette. Ecco sancito il dualismo fra ciò che è puro e il mondo delle apparenze mutevoli e corrotte. Se il mondo concettuale, eterno e immutabile, rappresenta il piano del giusto e del bene, il mondo fisico e impermanente diventa per ciò stesso sinonimo di ingiusto e di male, con la conseguente mortificazione della dimensione corporea. Sarà la successiva introduzione di un regno dei cieli, riservato agli spiriti puri, a consolidare definitivamente questo assetto dualistico. Nei successivi secoli questo primato della metafisica, ossia del mondo al di là della dimensione fisica, si esprimerà negli usi e costumi occidentali volti a privilegiare le attività intellettuali, cosiddette dello spirito. Uno dei ritrovati che assicurano il definitivo primato della cosa pensante, “res cogitans” come la chiamava Cartesio, a detrimento della cosa sensibile, è la diffusione della sedia. Se i Greci, nonostante la valorizzazione del Logos, assegnavano ancora un ruolo importante al benessere corporeo, promosso nei famosi ginnasi, anche il triclivio dei romani documentava una propensione a favorire la dimensione distesa della percezione sensibile, sintetizzata nel motto “mens sana in corpore sano”. Con la sedia invece siamo letteralmente separati dalla terra, non solo simbolicamente ma anche fisicamente. Il corpo viene costretto entro limiti ben precisi e viene così scoraggiata e progressivamente inibita la sua capacità di sentire e percepire. La nostra vita di occidentali, grazie a strumenti tecnici quali le sedie e, più recentemente, i monitor di ogni genere e forma, ma soprattutto a causa dei ritmi lavorativi che obbligano ad attività spesso esclusivamente sedentarie, ci ha lentamente trasformati in esseri dal cervello ipertrofico e dalla sfera percettiva sottosviluppata. Siamo dei macrocefali che faticano a reggersi su dei corpi minorati da debolezza e fiacchezza. Questa supremazia intellettuale, a cui va riconosciuto senza dubbio il fascino dei portenti e delle meraviglie raggiunte dal pensiero filosofico e scientifico, ha però prodotto una riduzione drastica della sensibilità nella nostra vita che è di fatto governata oramai da una costante attività mentale. Più che sentire la nostra vita tendiamo a pensarla. Conosciamo tutto degli oggetti che ci circondano, origine, dimensioni, prezzi, ma ci dimentichiamo di percepirli. Non ci ricordiamo del profumo di un vestito, della sensazione tattile della copertina di un libro o persino di quella del nostro viso. E ciò accade perché siamo costantemente “agiti” da un discorso interiore che si frappone e in molti casi si sostituisce all’immediatezza della percezione sensibile. A causa di questa incessante attività mentale siamo completamente scissi da ciò che ci circonda. Questo rumore interiore non impedisce unicamente lo svilupparsi della percezione, ma ostacola anche il piano del sentire e delle emozioni. Tendiamo cioè a concettualizzare anche il piano emotivo. In questi casi le emozioni producono stravolgimento o stagnazione, poiché si tratta di emozioni circoscritte e controllate dal piano mentale. La mente ruba le emozioni al corpo e le sclerotizza rendendole nefaste per l’equilibrio della persona. Ma quando l’emozione è scevra dal carico psicologico, essa può penetrare nel corpo agilmente, consumarsi e con altrettanta facilità riassorbirsi, senza lasciare traccia. In questo caso l’emozione cambia l’immagine e i confini mentali del nostro corpo, lo trasforma. Esistono, infatti, dei momenti di tranquillità, di particolare ricettività, nei quali è possibile fare esperienza della sensibilità corporea. La via dello yoga allena a questa particolare forma di ascolto e di riscoperta fiduciosa del nostro corpo.