Ci si avvicina alla meditazione quando ci si accorge di non riuscire a esserci mai al cento per cento e di non riuscire a “toccare” la vita perché si vive in perenne dispersione. Abitualmente siamo agiti da un discorso interiore che si sostituisce alla percezione della realtà in presa diretta. Abitiamo in una bolla narrativa che cataloga, seleziona, giudica e commenta l’esperienza e in un alcuni casi è così ingombrante e rumorosa da coprire completamente e sostituirsi alla percezione di ciò che c’è, di cui rimane solo una debole impressione. Tutto ciò è assolutamente normale e inevitabile: ciò che ci consente di destreggiarci nel mondo è proprio la nostra capacità di corrergli incontro con le nostre strutture interpretative, anticipando così i fenomeni e le mosse degli altri soggetti in gioco. Quando però il filtro di pregiudizi e anticipazioni sul mondo rappresenta una lente troppo spessa e deformante c’è il rischio che si trasformi da strumento utile a sterile struttura ripetitiva. In termini tecnici si parla di condizione di stress e di alienazione e riguarda non solamente i casi clinici ma, soprattutto in Occidente, la maggior parte delle persone. Meditare significa uscire dalla modalità del fare e del reagire per entrare in una modalità dell’essere e del recepire. Non esisto più in funzione del risultato da ottenere, ma incontro il mondo circostante come uno spettacolo da sperimentare. Lascio cioè che l’esperienza mi accada momento per momento, senza dover intervenire sul reale. Sospendo la necessità di trasformare le cose del mondo in “strumenti per raggiungere uno scopo” e provo a incontrarli come semplici fenomeni. Il metodo più efficace per calarsi in una percezione senza commenti, e placare il succedersi di pensieri meccanici, passa attraverso l’ancoraggio al corpo. Soprattutto per noi occidentali, che viviamo quasi esclusivamente attraverso il mentale, è importante scoprire che abbiamo un altro mondo, ben più ricco, legato alla sfera delle sensazioni e delle percezioni. Il primo passo per avvicinarsi alla meditazione è quello di stabilire una presa di contatto con il proprio corpo e con il proprio respiro attraverso semplici esercizi o posture. E' una presa di consapevolezza, non giudicante, curiosa e flessibile di tutto il mondo di fenomeni che avvengono dentro di me e intorno a me. Nel lessico dello Yoga questa conoscenza intuitiva delle cose per quello che sono, che caratterizza particolarmente gli stadi avanzati del Raja Yoga (yoga reale), viene chiamata Buddhi, ossia intuizione o visione chiara. Il Buddha è colui che vede chiaramente le cose per come sono e non per come vorrebbe che fossero o per come ha paura che siano. Questo è il punto di contatto fra lo Yoga e la filosofia buddista. Siddharta Gautama è stato, oltre che il fondatore del buddismo, un assiduo praticante e maestro di Yoga. Questa pratica di una visione chiara e intuitiva nella tradizione buddista ha preso poi il nome di Vipassana. Oggigiorno la psicoterapia occidentale ha fatto tesoro di queste antiche pratiche di saggezza e le ha riassunte sotto il concetto molto diffuso di Mindfulness. Tradizionalmente questa meditazione di presenza viene praticata seduti ma, essendo una vera e propria comprensione esperienziale, essa può accompagnare la mia esperienza in ogni momento e qualsiasi cosa stia facendo, che io stia mangiando, camminando o parlando con un’altra persona. Esiste poi un’altra tecnica di meditazione formale che si basa sulla concentrazione profonda e continuativa su un unico fenomeno, o su un particolare oggetto di contemplazione, che può essere il respiro, una parte del corpo, un simbolo, un suono… Negli “Aforismi sullo yoga” di Patanjali, il più celebre sistematizzatore dello Yoga, essa prende il nome di Dharana e, nella sua fase più sviluppata, Dhyana. Nella tradizione buddista prende invece il nome di Samatha. Anche questo secondo tipo di meditazione può essere esteso oltre la pratica meditativa strettamente formale, arrivando a comprendere anche attività come la lettura attenta e lo studio di un testo, piuttosto che l’atto creativo del dipingere o del suonare.