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Scritti

Piacere e desiderio. Nietzsche mancato tantrika?

di G. Moiraghi - Percorsi Yoga n. 77, 2020



Gioga: quando gioia e yoga si mescolano 
di G. Moiraghi

Recentemente ho sentito il mio maestro filosofo Carlo Sini ricordare una frase che per me era stata di svolta e che mi aveva aperto la strada verso lo yoga una seconda volta, dopo che per alcuni anni me ne ero allontanata:
“Dobbiamo liberarci dall’idea che la filosofia stia nei libri, la filosofia non sta nei libri, sta nell’esperienza, sta nella vita…”
Da filosofa in erba quale ero prima che lo yoga tornasse nella mia vita e la capovolgesse, ero suggestionata da una vaga idea della gioia, connessa con un’immagine di me come giovane docente ricercatrice tributata di riconoscimento, rispetto e stima da parte della comunità filosofica. Per avvicinarmi a questa immagine studiavo senza posa, scrivevo, e mi davo un sacco da fare.
Iniziavo però ad avere un forte sentore del fatto che tutte queste attività che svolgevo in vista di altro, di questo domani glorioso che sognavo, prese in se stesse mi risultavano spesso sforzate, noiose, anche un po’ aride, oltre che estremamente faticose. Mi ritrovavo ad impormi di scrivere o studiare in un pomeriggio di sole in cui tutte le mie cellule avrebbero voluto uscire, giocare, celebrare l’esistenza.
Quello che ad un certo punto capii è che tutto ciò che viene fatto per ottenere un risultato nel futuro non è fonte di gioia. Per far fronte alle richieste della vita di tutti i giorni può rivelarsi necessario compiere varie azioni in vista di obiettivi futuri, non c’è nulla di male in ciò, anzi è indispensabile. Bisogna stare attenti però a non illudersi, come fanno molte persone “in carriera”, che la gioia possa essere racchiusa in qualcosa che verrà, quando avremo ottenuto quel risultato, quel premio, quell’avanzamento di carriera, quando saremo diventati “qualcuno”, o avremo incontrato “qualcuno” che darà senso. E’ il desiderio mentale che si nutre della distanza, la gioia si può nutrire solo della presenza. Nietzsche inoltre ci ha insegnato che il desiderio di riconoscimento, di piacere, di risultare attraenti (fisicamente o intellettualmente) è molto meno innocuo di quello che sembra. Dietro vi è, molto ben celata, la volontà di primeggiare sugli altri e quindi di essere invidiati. Tutto ciò non può che portarci veramente lontani dalla gioia che non è mai legata ad un oggetto e tanto meno a una condizione di potere sugli altri, ma è un’esperienza del tutto spontanea che si fa inevitabilmente solo qui e ora, per ciò che si sta provando in questo momento in una dimensione di apertura: “Quando la mente è sgombra, la gioia segue come un’ombra che non ci lascia mai” (Buddha). Questo è il senso. La gioia è il senso.
Anche la filosofia se viene praticata come apertura alle vertigini di ciò che affiora inaspettatamente è gioia. Se invece si cerca di capitalizzarla, trasformandola in una carriera e sbilanciandola dalla parte dello specialismo e del tecnicismo, la si intellettualizza e, come diceva Edmund Husserl, nella frase sopracitata dal mio maestro, la si sradica dalla vita vissuta, e quindi dalla gioia.
Ma cos’è la gioia per me ora?
Non è un’idea. È una pratica. È l’esperienza del fatto che anche se ho avuto una giornata pesante, nella quale si sono fatti sentire acciacchi fisici, nella quale mi si sono presentati una serie di intoppi, di difficoltà una dopo l’altra, nella quale i miei sentimenti magari si sono aggrovigliati e i miei affetti si sono infranti contro gli spigoli di un’altra persona, io sono in grado, al di là di tutte le avversità, di mettermi in ascolto della vitalità che si muove dentro di me e celebrare il mio essere al mondo.
Ecco che allora inizia a sorgere dentro di me un calore, una luce, una meraviglia che mi fa ammorbidire gli angoli della bocca, mi decontrae i corrucciamenti della fronte, mi scioglie la durezza nel petto, mi apre alla fondamentale bellezza che c’è negli altri nonostante le ferite che ci possono arrecare. Mi viene voglia di ridere e il cuore vuole saltare. Questa è Ananda, la beatitudine, la gioia, di cui parlano le scritture indiane.
Mentre in occidente il concetto della “beatitudine” è spesso preso come alternativo a quello di “verità”, e di “consapevolezza” (creando in noi il sospetto che a indugiare nella gioia si rischi di dimenticare la questione della verità o si perda la consapevolezza) nelle Upanishad troviamo Sat – Chitta – Ananda.  
Satchittananda. Un’unica nozione che include in sé la “verità” (sat), la “consapevolezza” (chitta) e la “beatitudine” (ananda).
Non ci può essere per l’Oriente alcuna verità priva di beatitudine. Non ci può essere consapevolezza e verità nel dolore, a differenza di quello che a volte noi occidentali, segnati dalla tradizione cattolica, sospettiamo. Solo attraverso ciò che è “agio”, “gioia” (sukha), possiamo raggiungere l’Essere. Patanjali la chiama così negli Yogasutra descrivendo l’asana: stabile e agevole, nel senso di gioioso.
Secondo alcune paraetimologie yoga e gioia condividerebbero la radice comune “Yuj”. Yoga, gioia, gioia, yoga, gioga….in effetti suona molto molto bene: quasi un mantra.
E quindi dobbiamo stare più che mai attenti a non far cadere anche l’hatha-yoga nella trappola dell’anti-yoga e dell’anti-gioia, ossia praticare in vista di altro, di una méta che ora non c’è. Ad esempio per raggiungere una postura che farà restare gli altri a bocca aperta, anche a costo di imporci un esercizio severo e doloroso. Se non apriamo le porte allo sbocciare della gioia e dello yoga in questo momento, essi non giungeranno in seguito!
Lasciamoli affiorare qui e ora per quelle piccole cose che ci sono già e a cui magari semplicemente non stiamo prestando attenzione: il soffice della coperta che ci avvolge, il canto delizioso di un uccellino, il sorriso appena ricevuto, la tenera fragilità percepibile all’altezza del cuore. Una volta che ci alleniamo a conceder loro spazio e attenzione, esse cresceranno, si moltiplicheranno, contageranno la nostra vita, allargando gli orizzonti, rendendoci più flessibili (anche mentalmente), più in grado di processare le informazioni, e più creativi.
Non aspettiamo di avere un buon motivo per sorridere agli altri e a noi stessi, come dice il maestro Tich Nhat Hanh: “a volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere fonte della tua gioia.”

Ecco il mio libro Cura e Ardore, il 17 giugno 2021 (n° 23 della collana Teoria e pratica) Esce la ristampa in edicola. Va prenotata in edicola prima possibile 

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Ecco qualche pagina per capire cosa cerchiamo di fare con lo yoga: trovare quel sottile equilibrio tra “fare” e “lasciar accadere”. Ad esempio “fare” una posizione e “lasciar accadere” i fenomeni, ossia le percezioni che ne derivano e ci invadono in quel momento.

"Tra il fare e il lasciar accadere" nella rivista Percorsi Yoga n.70
tra_il_fare_e_il_lasciar_accadere.pdf
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Come sempre è difficile fare delle classifiche sui libri più indicati da leggere in un campo così vasto e sterminato come quello dello yoga. Ma, visto che molti di voi mi chiedono da cosa cominciare, abbozzo una lista assolutamente provvisoria e suscettibile di revisioni e modifiche...

Come Introduzione preliminare al tema dello Yoga, consiglio la prima parte del grande classico di Desikachar, allievo e figlio del grande maestro Indiano che ha avuto un ruolo fondamentale nel delineare lo Yoga Moderno:  Krishnamacharya. In prima battuta sconsiglio la seconda parte del testo un po' dogmatica... alla fine del testo si trova anche una discreta, ma molto libera versione degli Yogasutra (Aforismi sullo Yoga)
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Come Manuale Illustrato di facile consultazione rimarrei sui testi di Iyengar (anch'egli discepolo, nonché genero, di Krishnamacharya) e dei suoi allievi, per la chiarezza delle immagini, per la nomenclatura sanscrita delle asana (universalmente riconosciuta) e per la precisione degli allineamenti.
Alcune riserve sull'esecuzione di svariate posture. In particolare consiglio di non prendere ispirazione dalle immagini e i suggerimenti per la posizione del cane a testa in giù: nella variante Iyengar si produce un  eccessivo carico e stress sulle spalle. In generale per l'esecuzione delle asana rimando alle indicazioni e agli avvertimenti  che  vengono forniti da me a lezione e che rappresentano il frutto di una combinazione di insegnamenti orali e scritti messi insieme negli anni.
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Se l'edizione a fianco non fosse rintracciabile, ci si può orientare su un malloppone molto completo e utile di Iyengar che, a livello di immagini, è però decisamente meno d'impatto.
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Come Manuale di approfondimento sugli aspetti più profondi della pratica sul piano conoscitivo ed esperienziale c'è il testo di Willy Van Lysebeth, figlio e allievo del grande maestro André Van Lysebeth.
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Non potete perdevi una piccola perla della tradizione tantrica. Un testo antico e molto poetico.
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Libro cult che racconta la storia di formazione del maestro Swami Rama (i cui ultimi anni, peraltro, sono stati al centro di un controverso sex-scandal). È divertente da leggere perché vi è racchiusa una costellazione di temi e luoghi della saggezza orientale. Il fatto di non condividere il “culto personale del Guru” che traspare da questo testo non impedisce tuttavia di apprezzarne alcune indicazioni, immagini e momenti che sono il risultato di una saggezza millenaria che si tramanda da generazioni di praticanti in certe parti del mondo.
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Il primo passo è l’antecedente storico di canzoni come “Don’t worry be happy” di Bobby McFerrin e “Happy” di Pharrell Williams. L’altro riprende un tema a noi caro che è quello dei Sankalpa.
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Come compendio sulla versione tradizionale e sui luoghi comuni, e non, dello yoga e per la sua vena fabulistica, nonché a tratti stereotipata, ma sicuramente di piacevole lettura... con l'avvertimento che il testo è parecchio autocelebrativo e quindi deve essere letto con una certa benevolenza critica, che peraltro vale in generale per tutti i libri menzionati.
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Per controbilanciare due biografie ascetiche e, a tratti quasi puritane, ci vuole l'affascinante romanzo di Odier sulla formazione tantrica di un occidentale in India...
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Un testo scientifico e complesso sullo Yoga scritto da uno dei più importanti storici delle religioni: Mircea Eliade. Difficile, ma da non perdere.
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Il grande classico di Kabat-Zinn sulla meditazione di consapevolezza
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